Questo mese presenteremo e leggeremo insieme il romanzo d'esordio di una giovane scrittrice di Borgo Vittoria Cristina Bo, dal titolo Dopo il caffè.
Sinossi
"La nostra storia non inizia… ma prosegue: Lunedì
6 settembre 2010, un giorno come tanti, a Milano, una città come tante, in un
piccolo bar vicino al centro, un posto come tanti, nel banale caos delle
ordinazioni delle otto del mattino.
Andrea, proprietario e gestore di un locale senza
nome, si ritrova a dover affrontare nello stesso momento il proprio passato, il
proprio presente e forse anche il proprio futuro. Il passato ha il volto di
Daniele, il ragazzo che si è lasciato alle spalle quindici anni prima in un
paesino sperduto in mezzo alla Brianza. Il futuro invece è Francesco, un
qualsiasi cliente abituale del locale, che una mattina come le altre si
presenta al bar senza l’inseparabile fede nuziale. Mentre un mondo di certezze
e abitudini va in frantumi, nuove domande e nuovi modi di vedere la vita, l’amore
e se stessi, prendono forma nella mente dei protagonisti e di tutti coloro che
stanno loro intorno. Accade quando la routine infinita di una serie di giorni
che si ripetono tutti uguali viene rotta da una catena di eventi che non ha un
inizio definito e della quale non si riesce a vedere la fine. Quante storie si
incrociano continuamente, quanti sguardi si incontrano di sfuggita, quanti
attimi preziosi non vengono mai raccontati.
Giorni, ore, minuti, secondi… Che ore sono?
Quanto tempo mi resta per il caffè?" (C. Bo)
Brani
1.
Il
lunedì mattina il bar era sempre particolarmente affollato: studenti universitari
pronti ad affrontare le lezioni del mattino, lavoratori di ogni età ed
estrazione sociale che si godono un caffè prima di gettarsi nella settimana
lavorativa, qualche signore anziano con le cartelline degli esami medici
custodite gelosamente sotto braccio.
Andrea
volava da un lato all’altro del bancone servendo caffè e cappuccini a raffica.
A
malapena intravedeva i volti degli avventori che dinanzi a lui afferravano le
tazzine, le svuotavano in pochi sorsi e correvano fuori.
Settembre
era appena iniziato, nonostante il caldo fosse ancora quello di agosto la folla
al bancone rappresentava un chiaro segno del fatto che l’estate fosse
definitivamente finita. Quando anche gli studenti tornavano a domandare la loro
dose di caffeina necessaria ad arrivare all’ora di pranzo, Andrea sentiva la
frenetica vita milanese scorrere ancora più veloce e intensa.
Non
avrebbe saputo dire quanti caffè aveva servito quella mattina, quante voci con
preziose indicazioni sulla loro colazione gli erano rimbalzate addosso.
Macchiato
freddo, lungo, amaro, poca schiuma, ristretto...
“Ciao
Andre, me lo fai un cappuccino?!”
Una
voce conosciuta nel vortice delle otto di mattina, una voce che lo fece
sussultare.
Il
barista volse il capo di scatto e vide un uomo sulla quarantina, in giacca e
cravatta, appoggiato con il gomito al bancone di marmo.
Improvvisamente
la giornata gli sembrò illuminarsi di una luce diversa.
“Guarda
chi si vede! Finite le vacanze?” domandò con leggerezza mentre azionava la
macchina del caffè.
Francesco
sospirò leggermente a quella domanda e si passò una mano tra i capelli
brizzolati con fare esausto.
“Diciamo
che son contento di tornare in ufficio.”
Andrea
si voltò posando il cappuccino sul bancone dinanzi al suo interlocutore.
“Il
solito stakanovista! Sei stato via solo due settimane!” scherzò il barista,
concedendosi mezzo minuto di tregua dal caos del mattino, da dedicare a lui.
Due
lunghissime settimane, avrebbe voluto aggiungere. Gli erano mancati quegli
occhi castani sorridenti, contornati da una rete di piccole rughe
d’espressione.
Eppure
quella mattina, nonostante le labbra sottili di Francesco fossero piegate in un
sorriso, lo sguardo dell’uomo tradiva un velo di malinconia.
Andrea
se ne accorse immediatamente e a confermare quella sensazione fu la risata
amara che seguì il suo commento. Le riflessioni del barista furono interrotte
dalla voce di una ragazza, che gli ripeteva per la terza volta il suo ordine.
“Impegnato
come al solito, vedo! Non ti faccio perdere altro tempo allora.” commentò Francesco
mentre sorseggiava il cappuccino bollente.
A
malincuore Andrea dovette tornare a volgere la sua attenzione alle richieste
dei clienti.
Preparò
i tre caffè macchiati più veloci della storia e, con un gesto maldestro, li
depositò sul bancone. Nella foga per poco non travolse la cameriera, che era
venuta a recuperarli per portarli ai tavolini affollati.
Quando
si voltò nuovamente verso l’uomo, Francesco aveva finito la sua bevanda calda e
si stava pulendo le labbra con un tovagliolo di carta, preparandosi ad uscire.
“Aspetta!”
Andrea richiamò la sua attenzione, pescò una brioche dalla vetrina e la infilò
in un sacchetto per porgergliela. “Offre la casa, credo che tu oggi abbia
bisogno di zuccheri.”
Francesco
si lasciò sfuggire un lieve sorriso mentre allungava la mano sinistra verso la
busta di carta.
“Non
ti posso nascondere niente, vero?”
Il
barista fece spallucce consegnando il piccolo regalo all’uomo.
Nell’istante
in cui Francesco varcò l’uscio del bar per immergersi nel caos cittadino, Andrea
si preparò a sostenere il sorriso complice e malizioso di Federica, la giovane
cameriera che lavorava con lui.
“Ricominciamo?”
Andrea
annuì debolmente, passando uno straccio umido lungo il bancone per togliere
alcune briciole invisibili.
“Che
c’è, Andre?” domandò la ragazza mentre osservava l’uomo incuriosita dal suo
sguardo pensieroso, ignorando per qualche istante le ordinazioni insistenti dei
clienti, sempre più di fretta.
Il
barista rifletté ancora qualche istante, prima di appoggiarsi pesantemente con
i gomiti alla superficie di marmo.
“Non
porta più la fede.”
2.
Francesco
socchiuse gli occhi nel buio, intorno a lui le ombre degli oggetti che lo
circondavano sembravano presenze maligne che vegliavano sul suo sonno
disturbato.
Si
girò pesantemente su un fianco e tirò le coperte fin sopra la testa, chiuse gli
occhi e fece di tutto per svuotare la mente. Eppure Morfeo tardava a
concedergli il suo caldo abbraccio. Un’altra notte insonne, l’ultima di una
lunga serie. Sbuffò sonoramente mentre scostava le coperte e si metteva seduto.
Si
prese la testa fra le mani, fissando un punto indefinito nel buio.
Nervosismo,
angoscia, confusione... quanto avrebbe voluto sapere che cosa lo tormentava.
Lo
sguardo cadde involontariamente sul lato sinistro del letto. Il cuscino era
intatto, le coperte erano ancora tirate e le lenzuola terribilmente fredde.
Con
la mano accarezzò le coltri ordinate, percepì un vuoto doloroso e pungente che
lo trafisse come uno spillo in mezzo al cuore. Aveva passato anni a detestare
la sagoma di Angela che dormiva al suo fianco, girata di schiena per non
guardarlo. Aveva odiato quegli occhi chiari che preferivano soffocare le
lacrime nel cuscino, piuttosto che girarsi a incrociare i suoi. Allungò una
mano verso la schiena della moglie e la posò sulla sua spalla invitandola
dolcemente a voltarsi. Ma la sagoma si dissolse nell’istante in cui la toccò,
tornando a confondersi nel buio della notte.
Francesco
sospirò mentre un dolore sordo e amaro risaliva dal suo stomaco per emergere
con rabbia lungo la gola. Tardi, era troppo tardi.
Come
aveva fatto a non accorgersene in tempo?
Una
lacrima solitaria scivolò lungo la sua guancia lasciandosi dietro una fredda e
umida scia. Aprì la strada a moltissime altre gocce salate, che iniziarono a
colare come pioggia dai suoi occhi scuri.
Per
giorni, mesi, anni Francesco non aveva provato altro che rabbia. Un dolore
acuto e prepotente che gli logorava i nervi e la mente. Era la prima volta che
si sentiva così... vuoto...
La
rabbia era svanita, ora c’era solo una profonda tristezza.
Se ne
era andata. A che serviva odiarla? Non la biasimava nemmeno per averlo
abbandonato. Provava solo una triste e fredda solitudine e sapeva di non
poterne dare la colpa a nessuno, se non a se stesso.
Il
tocco sulla porta della sua stanza da letto lo fece sobbalzare, alzò lo sguardo
appannato dalle lacrime sulla soglia che si stava aprendo lentamente.
“Papà?
Ti senti bene?” un sussurro, appena udibile. Martina infilò prudentemente la
testa nella stanza.
Nell’ombra
la sagoma della ragazza gli ricordò terribilmente quella di Angela. La stessa
altezza, la stessa corporatura e, anche se ora non poteva vederli, gli stessi
occhi chiari.
“Sto
bene. Torna a dormire.” rispose con un mormorio tremante. Si accorse
immediatamente che la sua voce era incrinata, ma fece finta di nulla e si
sdraiò girando le spalle all’uscio.
Sentì
la porta chiudersi, respirò a fondo immaginandosi la figlia attraversare il
salotto per tornare in camera sua. Invece le lenzuola dietro di lui frusciarono
mentre la ragazza si infilava nel letto, al suo fianco. Francesco sentì Martina
accostarsi a lui, mentre con un braccio gli cingeva l’addome. Il calore della
ragazza scaldò immediatamente le coltri fredde.
Francesco
si sciolse in un pianto tetro e profondo, e non si preoccupò più di nascondere
i suoi singhiozzi.
“Va
tutto bene, papà.”
3.
Andrea
fissava la cassetta delle lettere con uno sguardo ostile, quasi di sfida. Il
vento gelido di dicembre era particolarmente insidioso quella mattina,
minuscoli fiocchi di neve danzavano leggeri nell’aria per andare a morire tra i
respiri affannati dei primi passanti.
Si
sfregò le mani con forza prima di infilarle il tasca. I suoi sospiri pensierosi
diventavano nuvolette di vapore che si disperdevano in pochi secondi,
fluttuando verso l’alto.
Estrasse
dal giaccone una piccola busta rossa e la avvicinò alla bocca della cassetta.
Ma si fermò pochi centimetri prima di lasciarla cadere al suo interno.
“Pronto? Mamma?”
“Andrea ... Come stai? Ti sei
sistemato?” La voce flebile e incerta della donna era come un rantolo, un
sussurro attraverso la cornetta.
“Ho trovato un appartamento in
affitto, mi ci sono trasferito il mese scorso.”
“Bene, mi fa piacere. Ma puoi permettertelo?”
“Sì, ho un lavoro: faccio il
receptionist in un piccolo albergo.”
“Ah ecco, bravo.”
“Ho chiamato per farvi gli auguri
...”
“Ma mancano ancora due giorni a
Natale.”
“Lo so, ma ... ecco pensavo,
magari per le feste potrei venire a ...”
Una seconda voce, profonda e
autoritaria, risuonò dall’altra parte del telefono. Fu solo uno strepito, un
rumore fastidioso sullo sfondo, ma purtroppo Andrea capì chiaramente quello che
disse.
“Cosa vuole quel frocio? Dei
soldi?”
Un silenzio fatto di respiri
distorti dal telefono occupò la linea per qualche istante.
“Stavi dicendo ...”
“Non importa, lasciamo perdere.
Salutami papà e passate buone feste.”
Andrea
strinse nel pugno la lettera stropicciandola, mentre chiudeva gli occhi al
ricordo dell’ultima volta che aveva sentito i suoi genitori. Ogni anno sotto
Natale mandava loro una lettera, nella quale scriveva di stare bene, del suo
piccolo appartamento a Cinisello Balsamo, della sua attività della quale andava
tanto fiero, della vita frenetica di Milano che non era mai riuscito a immaginare
a Briosco, di come gli mancasse il silenzio di notte, il lago a pochi
chilometri, le lucciole d’estate ... sul retro della lettera trascriveva sempre
il proprio indirizzo, il numero di telefono e di cellulare, ma non aveva mai
ricevuto una risposta.
Andrea
si illudeva che almeno sua madre le leggesse dalla prima all’ultima riga, e che
fosse tentata ogni anno di prendere il telefono e di chiamarlo.
Ma
l’anno scorso, la sua lettera era tornata al mittente ... ancora sigillata.
Riaprì
gli occhi e prese la busta tra due mani, stracciandola a metà. Lasciò cadere il
foglio nel cestino più vicino e si voltò per attraversare la strada e tornare
verso il Bar. Mancava poco all’ora di punta mattutina, non poteva lasciare
Federica da sola.
4.
Il
breve viaggio in macchina sembrò durare secoli, una leggerissima e sottile neve
aveva iniziato a danzare nell’aria gelida della sera. I piccoli fiocchi si
posavano delicatamente sul parabrezza dell’auto, che avanzava lentamente tra le
vie buie di Milano, uscendo dalla città.
Andrea
teneva gli occhi fissi sulla strada e le mani serrate sul volante, osava a
malapena respirare. Mille pensieri gli affollavano la mente, uno più confuso
dell’altro.
Francesco
se ne stava accasciato sul sedile del passeggero, con lo sguardo fisso nel
vuoto e il viso illuminato a tratti dalla luce intermittente dei lampioni che
incontravano lungo la strada. Il suo respiro pesante riempiva l’abitacolo della
macchina.
Andrea
era sulle spine come forse non lo era mai stato in vita sua. Erano soli e
immersi in una fredda notte in periferia.
Era
teso, angosciato. Non sapeva cosa aspettarsi.
Probabilmente
aveva davvero solo il desiderio di condividere le sue angosce.
Andrea
sapeva benissimo cosa voleva dire rincasare la sera in una casa fredda e vuota,
l’idea di condividere le loro solitudini non gli sembrò così sbagliata.
Per
tutto il viaggio Francesco non disse nemmeno una parola ma ogni tanto un
sospiro pesante gli sfuggiva dalle labbra. Sembrava avesse la mente su un altro
pianeta, intenta a inseguire chissà quale pensiero in qualche mondo remoto.
“Ti
va di dirmi cos’è successo?” mormorò improvvisamente Andrea.
“Mia figlia si sposa ...” rispose
semplicemente, tutto d’un fiato.
“Non
sei felice per lei?”
“Non
lo so ...”
Andrea
approfittò di un semaforo rosso per spostare gli occhi chiari sull’uomo al suo
fianco. Francesco aveva uno sguardo confuso, triste e impaurito allo stesso
tempo.
“Angela
va a vivere con un altro uomo, Martina si sposa. Una volta eravamo una
famiglia, e ora invece ... si costruiranno una vita nuova in altre case, con
altri uomini ... e mi lasceranno indietro come un peso inutile.”
Prese
un respiro profondo prima di continuare: “Ho paura di restare solo, a
invecchiare nel mio freddo appartamento.”
“Questo
non lo permetterei mai.” esclamò Andrea d’istinto, come gli era successo poco
prima al bar non pensò a nulla prima di parlare, le parole gli scapparono dalle
labbra come se avessero volontà loro. Ma stavolta non si pentì di averle
pronunciate. Attese solo la risposta di Francesco trattenendo il fiato.
“Cosa
vuoi dire?”
“Che
io non ti lascerei mai solo.”
Sulla
mano destra, che sostava sul cambio, improvvisamente Andrea sentì il calore
della mano di Francesco che la sfiorava con una timida carezza ruvida.
Inaspettatamente
gli venne quasi da ridere.
“Sei
ubriaco, vero?”
“Ho
paura di sì.” rispose l’altro trattenendo una sottile risata, ma non spostò la
mano da quella di Andrea per tutto il resto del viaggio.